La
tradizione, da tempi lontani, vuole che la donna che si sposa porti
con se la dote che, a secondo dei tempi e delle regioni, deve seguire
dei precisi canoni, anche se oggi le cose sono decisamente cambiate.
E, allora, in cosa consisteva la dote, o "scherpa"?
.
La
curiosità ci viene soddisfatta simpaticamente da un elenco della
dote o "scherpa"
, dal medievale nome germanico e gotico rimasto nelle parlate locali
della nostra zona, datata 11
dicembre 1595, di Antonia figlia di Donato Margaroli di Pella e sposa
di Lorenzo del fu Battista Milocca di Nonio.
Alcune
voci:
Linteamen
unum de pecia una tela apreciatum valoris (lire) 18
Bisacham
unam a lecto 6
Scosali
quinque albi et unum tinctum 6
Peliciam
unam 6
La
lista è interessante per la valorizzazione dei singoli capi, in lire
e soldi imperiali, e perché le varie voci sono scritte in latino,
dal lenzuolo (linteamen)
alle mutande (subuchule),
dal sacco su cui dormire (bisacha)
alla pelliccia (pelicia),
che nel Cinquecento era indumento non di lusso, ma usuale.
Nei
patti di matrimonio stipulati nell'epoca era importante l'aspetto
economico negli sponsali, indicandi, se non la ricchezza, almeno
l'agiatezza di una famiglia in una società dove era fondamentale e
tassativo mantenere
il fuoco acceso.
Per
le doti e beni parafrenali si andava spesso dal notaio per mettere
nero su bianco allo scopo di ribadire, confermare, quanto veniva
assegnato alla sposa anche in relazione alla devoluzione dell'eredità
paterna o materna nei confronti dei coeredi, fratelli e sorelle.
La
dote veniva consegnata la marito che, quindi, ne diventava
"possessore".
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