lunedì 23 gennaio 2017

La dote nei testamenti della Riviera



La tradizione, da tempi lontani, vuole che la donna che si sposa porti con se la dote che, a secondo dei tempi e delle regioni, deve seguire dei precisi canoni, anche se oggi le cose sono decisamente cambiate. E, allora, in cosa consisteva la dote, o "scherpa"? .
La curiosità ci viene soddisfatta simpaticamente da un elenco della dote o "scherpa" , dal medievale nome germanico e gotico rimasto nelle parlate locali della nostra zona, datata 11 dicembre 1595, di Antonia figlia di Donato Margaroli di Pella e sposa di Lorenzo del fu Battista Milocca di Nonio.
Alcune voci:
Linteamen unum de pecia una tela apreciatum valoris (lire) 18
Bisacham unam a lecto 6
Subuchule sex facte 16 ss.10
Scosali quinque albi et unum tinctum 6
Peliciam unam 6
La lista è interessante per la valorizzazione dei singoli capi, in lire e soldi imperiali, e perché le varie voci sono scritte in latino, dal lenzuolo (linteamen) alle mutande (subuchule), dal sacco su cui dormire (bisacha) alla pelliccia (pelicia), che nel Cinquecento era indumento non di lusso, ma usuale.
Nei patti di matrimonio stipulati nell'epoca era importante l'aspetto economico negli sponsali, indicandi, se non la ricchezza, almeno l'agiatezza di una famiglia in una società dove era fondamentale e tassativo mantenere il fuoco acceso.
Per le doti e beni parafrenali si andava spesso dal notaio per mettere nero su bianco allo scopo di ribadire, confermare, quanto veniva assegnato alla sposa anche in relazione alla devoluzione dell'eredità paterna o materna nei confronti dei coeredi, fratelli e sorelle.
La dote veniva consegnata la marito che, quindi, ne diventava "possessore".


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